Crevalcore nei dipinti

 

GHERMANDI Alberto detto Mingant

Alberto Ghermandi, detto Mingant, Crevalcore, 1881-1951. Conosciuto a Crevalcore e dintorni per il suo carattere schietto e il gusto per la burla, seppe trasporre nell'arte alcuni elementi significativi della sua vita, che ora sono rivalutati nella storia locale. Le sue opere, tracciate non a caso con la matita e realizzate su cartoncino quasi a considerarle un passatempo rispetto alla sua principale attività di decoratore, ci aiutano a ricostruire la sua figura, ancora viva nella memoria collettiva per alcuni curiosi aneddoti.
Alla sua morte restavano ai familiari circa 150 quadretti, di cui la maggior parte sono ritratti.
Trascorreva molti mesi lontano da casa, trovando alloggio presso i committenti, per i quali decorava case, ville, chiese. Ritornava in famiglia durante i mesi invernali, quando il tempo inclemente imponeva l'arresto delle attività. Allora preparava i disegni degli affreschi murali e leggeva molto.
I lunghi soggiorni nella città di Bologna gli permisero di coltivare l'interesse per il canto: diventò corista presso il Teatro Comunale di Bologna. La sua forte motivazione è attestata dai numerosi ritratti di compositori, musicisti, cantanti. E' probabile che la contiguità con ambienti artistici bolognesi sia all'origine della sua attività pittorica, diventando uno strumento per esprimere non solo sensazioni estetiche, ma racconto, testimonianza.
Visse la parabola del fascismo in età matura, dai quaranta anni in poi. La mancata adesione al movimento fascista, e il rifiuto di sottoscrivere la tessera, gli procurò difficoltà economiche, senza tuttavia togliere smalto al suo carattere risoluto e un po' eccentrico. Aveva rapporti di familiarità e stima con persone autorevoli, quali Don Bisteghi e l'ingegner Bergonzini, con i quali si dava del tu.
Per necessità, accettò anche di scrivere sui muri i famosi slogan fascisti, senza tuttavia astenersi dal criticarli e metterne in luce le contraddizioni. Come quando gli fecero scrivere sulla facciata dei grattacieli (veniva chiamato così, ironicamente, un treno di case basse e fatiscenti, dove abitavano molte famiglie, posto di fronte all'entrata dello zuccherificio) "Se le culle sono vuote, la nazione invecchia e decade". Oppure, in un altro evidente paradosso, sul muro del cimitero, aveva scritto un'altra frase celebre del duce: "Chi si ferma, muore!"
Verso gli anni '40, all'età di circa 60 anni, non si assentò più per lavoro, ma mantenne salde amicizie in paese: con un certo Minelli, di idee politiche opposte, condivideva l'amore per la lirica e spesso si incontravano nella casa di lui per ascoltarla alla radio; con un dipendente della banca cooperativa organizzava lunghe gite in bicicletta, fino a Bergamo e Brescia, a spese naturalmente dell'amico che poteva permetterselo.
Il figlio Romano ebbe modo di apprendere la tecnica pittorica dal padre.
Il giovane Bastia andava frequentemente a casa sua e passavano molto tempo a parlare e dipingere. Nel 1941, anno più anno meno, Bastia, allora ventenne, andò per tutto il mese di giugno a casa Ghermandi alla Guisa per fare il ritratto della nipote Giovanna Ghermandi che allora aveva 11 anni. "Il quadro era grande, stavo seduta nell'atteggiamento di leggere un libro. Faceva un gran caldo" (Giovanna Ghermandi). Quel quadro restò ai Ghermandi, ma Bastia andava a prenderlo spesso per le sue mostre. Pare che sia stato esposto anche a Roma. Poi, un giorno, Bastia lo vendette a un crevalcorese

E' l'autore della decorazione delle case dei Corsini (poi Salina): un tipico fregio perimetrale e una marcatura chiara che evidenzia gli angoli e incornicia finestre e porte.

                                                                                                      settembre 2008

Aneddoti.

Il più conosciuto è quello dei "due leoni con la catena".
Incaricato di dipingere due bei leoni sulla facciata dell'omonima villa in via Sant'Agata, Mingant chiese se doveva dipingerli con o senza la catena. "Senza, naturalmente! Quando mai si sono visti dei leoni alla catena!" rispose il committente. E Mingant dipinse due bei leoni senza la catena. Veniva chiamata così allora anche la colla garavela, che avrebbe garantito la presa dei colori sulle pareti di supporto. Dipinti senza quella colla e esposti alle intemperie, i due leoni cominciarono a scolorirsi. A chi gli faceva notare che i suoi due bei leoni si stavano sciogliendo con la pioggia, lui rispondeva che così li aveva voluti il proprietario, senza la catena, manifestando una buona dose di spregiudicatezza e il suo gusto per la burla.

In un'altra occasione, incaricato dall'ingegner Bergonzini di affrescare una stanza di casa, Mingant si mise all'opera secondo le indicazioni ricevute. L'ingegnere, conosciuto per essere estremamente esigente e pignolo, intervenne a lavoro cominciato per fare cambiare colore: "No, non mi piace questo colore, meglio farlo più scuro". E Mingant ricominciò da capo con la nuova tinta. Ma anche quella non fu di suo gradimento, quella giusta doveva essere una via di mezzo fra la prima tinta e la seconda. Mingant finì di colorare la stanza con la nuova tinta e chiamò l'ingegnere per una valutazione finale del lavoro. "Oh, così va bene! Bravo Mingant!" A quel punto Mingant, evidentemente esasperato dal carattere dell'ingegnere con cui si dava del tu e intenzionato a fargliela pagare, tracciò due bei rigoni neri sulla parete a forma di croce, dicendo: "Ma non va bene a me. Tu devi trovarti un altro per dipingere la tua stanza!"

Un'altra volta era stato chiamato dal comune di Sant'Agata per dipingere la facciata della torre dell'orologio. Allora le contese fra i paesi vicini erano molto vive e i Crevalcoresi chiamavano i Santagatesi "gatti". Mingant si installò in quel di Sant'Agata e portò avanti il lavoro. Verso la fine, alcuni curiosi si accorsero che nel quadrante dell'orologio Mingant aveva dipinto dei gatti. Mentre si stava organizzando la protesta, lui se la svignò.

Sempre in quell'occasione, mentre era intento a dipingere la facciata della torre dell'orologio di Sant'Agata, Mingant osservava le donne che facevano il bucato nel vicino fossato e scambiava battute con loro. Lui le provocò dicendo: "A Crevalcore, l'acqua del canale sarà anche torbida [Canal Torbido], ma le donne sono belle, mentre a Sant'Agata l'acqua è bella, ma le donne fanno cagare!"

 


La moglie Filomena (1944)

 


Dipinto risalente al decennio 1910. Bambina di nome Romanina, figlia di braccianti di Argenta, che durante una lunga lotta bracciantile fu affidata alla famiglia Ghermandi, . "Allora ci si aiutava anche così, fra la povera gente" (le nipoti)

 


La nuora e il figlio (1945)

 


autoritratto (1945)

 

 


(1949)

 


(1947)