LODI Giuseppe, il pittore
Sorridente,
gioviale, accoglie con grande disponibilità il visitatore nel suo
laboratorio. Attorno, tutto quello che ha a che fare
con la sua pittura: quadri, cornici, manifesti,
libri e, su due mensole, una trentina di coppe.
“Quelle le ho vinte all‘inizio, poi le priorità sono
state altre.” Al centro c‘è il banco di lavoro
con la sua ultima tela. Mi mostra i colori delle
marche migliori, i diversi tipi di pennello, apre
mensoline ad incastro con spatole, altri
colori, mi spiega come preparare il fondo della
tela. “Dipingo ogni giorno, soprattutto alla
sera.” Una vera passione, la sua, ma anche una
tecnica affinata dall‘esperienza.
In un angolo noto una statuetta in legno: “Quella
l‘ho fatta dopo essere stato inviato nel Belice,
dopo il terremoto del 1966, col mio gruppo di
pompieri. Avevo visto delle cose che è difficile
dimenticare. Il Ministero degli Interni aveva poi
indetto un concorso artistico ed io ho partecipato
con due opere: una scultura, quella, in cui ho
cercato di esprimere quelle emozioni, e un quadro.
La scultura vinse il 1º premio nella sua categoria e
il quadro arrivò 2º nell‘altra. Era il 1967.”
Nella lunga conversazione con Giuseppe Lodi, gli
aneddoti si susseguono, prendendo spunto da un
quadro, una foto, un poster. Si parla dei Ronchi,
dove ha vissuto fino a 18 anni, delle scuole
elementari a Bolognina con la Sandra e altri
compagni di cui elenca i nomi, di quel mondo
contadino che illustrava già allora con le stesse
figure di oggi, descritti con minuziosa attenzione:
il focolare, la stalla, gli strumenti del lavoro.
Uno stile naïf che è parte di sé e che portò con
scaramanzia fino a Milano, quando decise di sfidare
la sorte, dopo i primi successi locali. “Un
giorno ho deciso di partire e di andare a Milano,
per vedere se qualcuno era interessato ai miei
quadri. Ho parcheggiato in Piazza Duomo e mi sono
avviato per via Vittorio Emanuele con tre quadri
sotto il braccio. Sono entrato in un locale che
dall‘esterno sembrava una galleria, con vetrate,
quadri alle pareti, e invece era la sede commerciale
del Giorno. Mi dissero che non
si occupavano di quadri, ma che li mostrassi.
Cambiarono subito atteggiamento e chiamarono il
direttore. Faticavano a credere che quel pittore,
che dipingeva con lo stile naïf che riscontrava
grande successo nelle grandi città europee, venisse direttamente da Crevalcore. Mi
dissero di dipingere altri quadri per averne una
ventina per una mostra personale e che loro si
sarebbero occupati di tutto il resto. Tre mesi dopo,
dipingendo nei momenti liberi dal lavoro, ero pronto
e ho portato le opere a Milano. La mostra era stata
pubblicizzata dal Giorno e dal Corriere
della Sera con titoli del tipo Il naïf sbarca
a Milano. Alla sera presenziai all‘inaugurazione
e ripartii subito per Crevalcore, perchè dovevo
riprendere servizio come pompiere a Bologna. Il
giorno dopo, terminato il servizio, ritornai a casa
e mi dissero che avevano telefonato da Milano.
Pronto? È Lei Lodi? I quadri sono già tutti
venduti!”
Era il marzo del 1966. Da allora i rapporti con
Milano e con l‘Ente per il Turismo si
intensificarono e Lodi Giuseppe entrò in contatto
con tanti altri pittori naïf, italiani e stranieri.
Per anni la sua attività trovò uno sbocco
privilegiato nel milanese e in Lombardia, poi il
raggio della sua azione si è allargato e la rete
di conoscenze pure. Lodi è diventato il riferimento
di tanti pittori da tutto il mondo, Croazia,
Australia, Canada, Argentina, Cina, ecc, una
reputazione costruita sulla fiducia di un rapporto
di lunga data, sul passa-parola. Così è nata l‘AIPAN,
l‘associazione dei naïf senza frontiere, che
collabora con i musei di Nizza, di Montreal, di
Mosca e con associazioni e gallerie di tutto il
mondo.
“Quel manifesto viene dalla Lapponia
(Finlandia).” Sono infatti poche le parole
comprensibili: naïf e le date. “Hanno organizzato
una
grande collettiva naïf l‘anno scorso e si sono
rivolti a me. Con le mie conoscenze ho fornito loro
quadri provenienti da diversi paesi. Hanno inviato
un camion da Kuusamo fino a Crevalcore per
prelevarli, cinque giorni di viaggio per la sola
andata. E siccome fra i miei sponsor ci sono
produttori di Lambrusco e di Parmiggiano Reggiano,
ho consegnato loro anche 150 bottiglie di Lambrusco
e una forma di Parmiggiano. La mostra è stata un
successo per i quadri venduti e la pubblicità dei
prodotti tipici dell‘Emilia-Romagna. Gli
organizzatori, entusiasti, mi hanno già scritto che
vogliono ripetere l‘esperienza per soddisfare la
richiesta delle migliaia di turisti che visitano la
loro città in quel periodo.”
L‘esperienza nel settore ha fatto di Lodi un
ricercato organizzatore di circuiti espositivi.
“Ad ogni mostra che organizzo, invio tremila lettere
di invito ed ho l‘appoggio di enti pubblici e di
numerosi sponsor. Si è calcolato che la mostra
dell‘anno scorso a Castelvetro abbia avuto circa
25000 presenze.”
In provincia di Bologna, ricorda la mostra dell‘Antoniano
del 1998, quella recentissima di Cento nel novembre
2007, collegata alla rassegna che si svolge da
diversi anni in occasione della Festa dell‘uva e dei
vini di Castelvetro (Mo), e la prossima
collaborazione con il comune di San Lazzaro.
“Vorrei portare queste mostre a Crevalcore e
realizzare qui il progetto di un museo dell‘arte
naïf. Il nostro paese è situato al centro di tre
province, arriverebbero tanti visitatori.” A
Crevalcore lo si attende da molto tempo e forse si
riuscirà ad aprire una sua mostra, nonostante la
mancanza di spazi espositivi adeguati.
All‘uscita, apre il baule della macchina e mi mostra
un libro. È La crosta della polenta,
un romanzo scritto da JoneMaria Biondini, pubblicato
nel 2000, ispirato al contesto pittorico di Lodi.
“Ora sto facendo gli ultimi quadri; tra breve uscirà
una nuova edizione con le mie illustrazioni”. Mi
accorgo che all‘interno c‘è anche la biografia di
Giuseppe Lodi e che al centro del racconto c‘è
Crevalcore, definito nell‘introduzione un paese
dell‘anima, l‘emblema di una più vasta condizione
umana.
aprile 2008
Quadri di Lodi Giuseppe nella galleria
finlandese Ruhaart |