Crevalcore nei dipinti
 

 
Ritrovati i quadri di Aldo Barbieri lo Spagnolo
sui Campi di Sterminio
 


I quadri che Aldo Barbieri lo Spagnolo aveva fatto sul tema dei campi di sterminio sono stati ritrovati. Impolverati, dimenticati in qualche ripostiglio, 40 anni dopo ci riportano agli anni 70, ai forti convincimenti di una generazione che cercava di denunciare in tutti i modi, anche attraverso la pittura, quelle atrocità. Uncini, teschi, sangue, cappi e siringhe fanno parte della simbologia a cui ricorre Barbieri per illustrare le torture e l’annientamento dei condannati, eseguiti dai carcerieri-kapò con l’elmetto e il volto da rapace, figure già utilizzate nei quadri delle “Lotte contadine”. I disgraziati inermi da un lato e i violenti potenti dall’altro: un inferno vissuto come un incubo dal pittore, che aveva più volte visitato quei campi. Solo chi si è recato là può capire certe immagini, perché non tutti i particolari dei quadri sono di facile lettura. Ma le emozioni sono intense, addensate nei nuclei del racconto che si distribuisce sulle quindici tavole. Dal crudo realismo degli uncini della Risiera di S. Sabba, alla denuncia della giustizia piegata al volere del più forte, fino all’amara ironia dell’“infanzia felice”, bambini sottoposti agli esperimenti di laboratorio.
Come negli altri suoi quadri “storici”, la tecnica di Barbieri punta alla semplificazione del messaggio per una comprensione immediata, dove anche il colore e la struttura hanno un ruolo importante.
Pur creati in un contesto diverso, queste composizioni conservano intatta, oggi, la loro attualità. Non più la condanna, scontata, del nazismo, ma la mancanza di una coscienza critica in quanti accettarono di collaborare o preferirono tacere, lasciando al loro destino milioni di persone.
Un’attualità anche formale, perché la distanza storica ci consegna delle opere artisticamente pregevoli, più incisive ora che non sono più sostenute da quel circuito di feste popolari che le portò in mostra in parecchi paesi emiliano-romagnoli e al Palazzo Re Enzo di Bologna.
La mano insanguinata che si protende aperta verso l’alto è forse la sintesi dell’intera serie, l’urlo disperato del condannato che istintivamente cerca aiuto dai suoi simili, mentre sprofonda nel sangue della sua umanità negata.
                                                               24 settembre 2010